Per approfondire

Area dedicata a insegnanti e personale non docente per approfondire i temi legati agli stereotipi di genere
Alla base del modello Be.St, nonché presupposto di partenza, vi è il riconoscimento della responsabilità educativa in capo a scuole, insegnanti e personale non docente. I bambini e le bambine, in quanti adulti e adulte di domani, compongono la comunità che abitiamo e che contribuiamo a costruire per il futuro.
Nella comunità che vorremmo ogni persona è libera di esprimersi e immaginarsi nel mondo, senza costrizioni dovute a invisibili gabbie culturali che ci condizionano e a volte ci schiacciano.
Innanzitutto quando si parla di stereotipi sessisti e di genere è sempre necessario assicurarsi di avere ben chiaro il significato di tali concetti per evitare equivoci e fraintendimenti.
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Glossario di termini relativi agli studi di genere
Comportamento genderizzato
gli stereotipi sessisti alimentano una netta divisione fra ciò che è maschile e ciò che è femminile, che coinvolge ogni aspetto del comportamento: abbigliamento, interessi, tratti caratteriali, colori. Per esempio, dalle bambine ci si aspetta (e si esige, implicitamente o meno) che siano meno irruente rispetto ai maschi, più ubbidienti, più collaborative e ordinate, più diligenti nello svolgere i compiti loro assegnati. Un comportamento genderizzato è il prodotto di queste aspettative stereotipate che vengono interiorizzate da bambine e bambini e si mostra nel fatto che, già alle elementari, bambine e bambini si pensano e agiscono come due poli contrapposti, facendo dell’opposizione fra maschi e femmine un tema frequente dei loro giochi, delle loro storie, dei modi in cui interagiscono.
Educazione sessuale(o educazione alla sessualità)
come affermano le linee guida OMS, “per maturare un atteggiamento positivo e responsabile verso la sessualità,[ragazzi e ragazze] hanno bisogno di conoscerla sia nei suoi aspetti di rischio che di arricchimento”. L’educazione sessuale non consiste semplicemente in un’azione informativa riguardo agli aspetti biologici della sessualità umana e dei rischi connessi ad essa, trattando aspetti come la contraccezione, le malattie sessualmente trasmissibili e la gravidanza. L’OMS propone una educazione sessuale olistica(globale, a tutto tondo) che “fornisce a bambine/i e a ragazze/i informazioni imparziali e scientificamente corrette su tutti gli aspetti della sessualità e contemporaneamente li aiuta a sviluppare le competenze necessarie ad agire sulla base delle predette informazioni, contribuendo così a sviluppare atteggiamenti rispettosi ed aperti che favoriscono la costruzione di società eque”. Queste competenze sono intese come competenze relazionali, per esempio nel negoziare i tempi e i modi del vivere la propria sessualità con il/la partner e nel prendere consapevolezza dei propri desideri, bisogni, limiti. Si tratta quindi di affrontare, in tempi e modi rispettosi dei livelli di maturità di bambine e bambini, tematiche quali il consenso, l’autodeterminazione del proprio corpo e il rispetto dei limiti altrui (che possono essere introdotte già alle elementari),la conoscenza del proprio corpo non solo in termini di funzionamento, ma anche in termini di sensazioni ed emozioni che bambine e bambini devono poter comprendere e articolare, anche per essere in grado di esprimere sensazioni di disagio.
Eterosessismo
così come il sessismo è l’insieme dei pregiudizi che sostengono la superiorità degli uomini sulle donne e sminuiscono queste ultime relegandole a ruoli stereotipati, l’eterosessismo è l’insieme dei pregiudizi che affermano la superiorità delle relazioni eterosessuali rispetto a quelle omosessuali, intendendo l’orientamento sessuale come un “modo di vivere” e giudicandolo in senso morale. Un esempio di questi pregiudizi è la percezione che le relazioni omosessuali siano più fortemente improntate alla componente sessuale rispetto ad altre caratteristiche delle relazioni come il reciproco sostegno e comprensione, la dolcezza, la condivisione di un progetto di vita; un altro esempio è l’idea che le persone bisessuali siano inclini all’infedeltà nelle relazioni, superficiali e volatili. Questi pregiudizi discendono dalle rappresentazioni che la nostra società ha costruito dei vari orientamenti sessuali in epoche in cui non si era ancora riconosciuto il loro carattere pienamente naturale e legittimo, ma venivano percepiti come devianti e innaturali.
Genere
processo di costruzione sociale e di elaborazione simbolica e culturale dell’appartenenza di sesso. In altre parole, il genere è l’insieme dei significati che una società attribuisce alle differenze di sesso, delle idee che vengono coltivate intorno a queste differenze, delle rappresentazioni culturali di senso comune e delle aspettative che la società ha riguardo a cosa pertiene a un sesso e cosa all’altro. Il genere ha a che fare con le nostre rappresentazioni di mascolinità e femminilità e del rapporto fra uomini e donne: le caratteristiche attribuite a uomini e donne, storicamente, sono servite per giustificare la divisione sessuale del lavoro che ha relegato le donne alla sfera privata e ai ruoli di cura, permettendo agli uomini di controllare la sfera pubblica e i ruoli produttivi e politici, cui è stato attribuito maggiore valore sociale proprio perché definiti come aree maschili. La divisione sessuale del lavoro, infatti, non è paritaria ma gerarchica, e allo stesso modo le caratteristiche attribuite alle donne(emotività, vulnerabilità, ecc.) sono state storicamente considerate di minor valore rispetto a quelle attribuite agli uomini (forza, razionalità, capacità di comando, ecc.),nella nostra cultura. Queste caratteristiche sono frutto di una socializzazione di genere che plasma gli individui ad adeguarsi alle rappresentazioni e alle norme dominanti nella società, punendo coloro che non si conformano ad esse con esclusione estigmatizzazione.
LGBTQ+
sigla che sta per Lesbiche, Gay, Bisessuali, Trans, Queer e altre forme di orientamento sessuale, espressione di genere e identità di genere. L’orientamento sessuale definisce da chi si è attratti, se da persone dello stesso sesso, di sesso diverso, di entrambi i sessi. L’identità di genere invece è il genere che una persona sente di avere, che può coincidere con il suo sesso biologico o può divergere da esso. L’espressione di genere è un posizionamento scelto nei confronti del genere, una ridefinizione soggettiva della propria identità che vuole andare oltre le idee relative al genere della società e costruirne una versione individuale. La parola queer, che riflette questo posizionamento, letteralmente significa “strano, bizzarro”. La comunità LGBTQ+ chiede rispetto e riconoscimento della legittimità delle identità andando oltre criteri normativi ed escludenti come quello di normalità, a partire dal fatto che la normalità è nella diversità dei modi possibili di essere, non in un solo.
Performatività
proprietà del linguaggio e dei costrutti sociali per cui essi non si limitano a riflettere la realtà, ma contribuiscono a costruirla. Per dirla con Ludwig Wittgenstein: “I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo”, ovvero non posso pensare ciò che non ho le parole per pensare. Infatti, il linguaggio che usiamo crea l’organizzazione mentale dei concetti e delle rappresentazioni ad essi legate, e queste riflettono sempre una specifica visione del mondo. In questo senso, il linguaggio e le scelte linguistiche non sono neutrali e non sono privi di conseguenze. Un’attenzione al genere nel linguaggio richiede di nominare al femminile le cariche ricoperte dalle donne, ad esempio, per rimarcare che non si tratta di ruoli maschili che una donna sta ricoprendo in modo situazionale, ma di ruoli che sono aperti a entrambi i sessi. Un altro esempio è il modo in cui specifiche parole rimandano a idee di senso comune sulla femminilità che non sono solo anacronistiche, ma anche nocive a una rappresentazione delle donne che rifletta la realtà: “leziosa”, “smorfiosa”, “gatta morta”.
Senso comune
l’insieme della conoscenza tacita che “galleggia” nella società e si compone di “ciò che tutti sanno”. Si tratta di nozioni, rappresentazioni, pregiudizi, luoghi comuni che assorbiamo senza neanche accorgercene, che compongono il dato per scontato. Il senso comune è il principale veicolo di trasmissione degli stereotipi perché non è un processo di apprendimento in cui siamo consapevoli distare apprendendo. Ad esempio, nessuna/o di noi ha mai appreso in modo esplicito, a casa o a scuola, che “le bionde sono stupide”: il messaggio è veicolato implicitamente dai mass media, da battutine, dall’attitudine delle persone che sono portatrici di questo pregiudizio verso le donne e le ragazze bionde. Se osserviamo lo stereotipo, il suo significato è che le ragazze bionde non hanno bisogno di essere intelligenti, perché possiedono un tratto estetico poco comune, immediatamente visibile e molto apprezzato che permette loro di puntare sull’attrattività fisica.
Socializzazione
il processo con cui un individuo apprende la cultura di una società, intesa come l’insieme di significati, codici, norme con cui la società organizza sé stessa, e ne diventa membro a pieno titolo, in grado di agire e realizzare la propria individualità all’interno dell’ordine culturale esistente. Nel caso del genere, la socializzazione al genere è il processo con cui i bambini e le bambine diventano consapevoli della propria appartenenza di sesso, dei significati sociali ad essa associati e delle aspettative che ciò comporta; la socializzazione non è un processo passivo, perché nell’assorbire i significati i bambini e le bambine li rielaborano, interpretano, trasformano. Non è nemmeno un processo deterministico, perché la trasmissione culturale lascia spazio all’agire individuale. Tuttavia, gli effetti di una socializzazione al genere basata sugli stereotipi sessisti sono visibili a livello macro sociale nella persistenza della discriminazione contro le donne e nel mancato raggiungimento della parità nella vita pubblica della società, nell’economia e nella politica.
Stereotipo
struttura di conoscenza che collega determinate categorie sociali aspecifici attribuiti tramite associazioni di tipo probabilistico. In altre parole, si tratta di una generalizzazione cognitiva che si fonda in parte sull’esperienza e in parte e molto maggiore sul senso comune, sulle rappresentazioni condivise nella cultura. Lo stereotipo ha una valenza descrittiva (ci dice come è la realtà), ma anche prescrittiva (ci dice come la realtà deve essere) ed è resistente al cambiamento perché ogni situazione che smentisce lo stereotipo viene liquidata come eccezione, e la dove le eccezioni diventano numerose, invece di incrinare lo stereotipo ne costituiscono un sottotipo. Per scardinare uno stereotipo, non basta l’esposizione ad alternative ad esso, ma occorre un’attitudine mentale specifica a non ragionare per stereotipi, a limitare consciamente la sua influenza nei nostri processi cognitivi e decisionali. Ad esempio, quando le donne hanno iniziato a raggiungere in modo significativo posizioni di alto livello nel mondo del lavoro e della politica, attorno a loro si è creato un sottotipo degli stereotipi del femminile, la “donna in carriera”. Ricerche sperimentali dimostrano che questo sottotipo è mutualmente esclusivo, sul piano cognitivo, rispetto agli stereotipi tradizionali della femminilità: la donna-madre dedita alla cura e la donna-oggetto sessuale. Fra le implicazioni c’è il fatto che una donna che cura la propria femminilità non viene percepita come competente, e al contempo una donna che ricopre posizioni di responsabilità e potere non viene percepita come femminile (Glick et al, 2005; Rudman e Borgida, 1995). Solo insegnando a vedere oltre gli stereotipi potremo arrivare a un riconoscimento pieno della complessità delle persone e, restando all’esempio, del fatto che una presentazione di sé che mette in risalto l’aspetto fisico non deve sminuire le capacità intellettuali e professionali della persona.